Paura del giudizio e la paura di deludere gli altri: la schiavitù psicologica -

Paura del giudizio e la paura di deludere gli altri: la schiavitù psicologica

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La paura del giudizio e la paura di deludere gli altri sono due aspetto fra loro molto legati. In che modo questi possono diventare delle “trappole” psicologiche nella nostra vita quotidiana?

Deludere gli altri e le loro aspettative, a pensarci bene, non è piacevole. Può avere tutta una serie di conseguenze negative. Ad esempio perdere la fiducia dell’altro, sentirsi in colpa, venire giudicati male, rischiare una relazione o una posizione lavorativa.

Cosa fare?

Allora cosa fare? Probabilmente, la prima cosa è tentare di evitare questa delusione, compensando i nostri comportamenti e rendendoli più adeguati a quelle stesse aspettative. In pratica, armonizziamo il nostro “sentire”, il nostro“parlare” e “agire” secondo necessità esterne. Il vantaggio, in questo caso, è quello di avere un’approvazione, ricevere stima o gratitudine, oppure sentirsi parte di qualcosa (un gruppo, una relazione, un’associazione etc.).

Questa è una dinamica che sempre più frequente riscontro nei miei pazienti. In molte circostanze, però, questo può trasformarsi in una vera e propria trappola! Ovvero, in quella impellente e logorante necessità di essere approvati, giudicati positivamente. Tutto per evitare un senso di rifiuto e di essere esclusi. Ma a che prezzo?

Il costo può essere enorme. Soprattutto nel lungo periodo. Nel tentativo di ottenere quell’approvazione, di fatti, ci concentriamo sull’altro: sulle sue aspettative, bisogni, desideri, ciò che gli piace o non gli piace. Ne tracciamo un profilo psicologico ed emotivo che diventa il modello a cui cerchiamo di aderire. La paura del giudizio diventa una spada di Damocle sulle nostre teste!

Le conseguenze

Ma ciò ci porta all’inevitabile conseguenza di … scordarci di capire noi stessi! Non usiamo, così, le nostre risorse emotive e attentive per comprendere ciò che NOI stiamo vivendo. Oppure di comprendere quello che NOI ci aspettiamo dagli altri (i nostri pensieri, bisogni, emozioni). Non viviamo un evento o una decisione centrandoci su quanto quell’evento o quella decisione abbiano valore per noi. Tutto è sacrificato sull’altare dell’accettazione dall’altro! La paura del giudizio incombe su di noi!

Questo porta ad una ulteriore conseguenza molto delicata e rischiosa. Non riusciamo più ad autoaffermarci, ad esempio dicendo “no” ad una richiesta, perché negare all’altro quanto ci chiede significherebbe attirare su di noi un brutto giudizio. Ciò potrebbe portare (secondo la nostra paura) ad una perdita della relazione, o anche solo ad un rottura. Come se avere dei bisogni personali dovesse essere minaccioso per la nostra stessa vita sociale ed affettiva. In altre parole, come se avere una proprie identità, con idee, pensieri, opinioni, valori, emozioni etc., dovesse arrischiare la nostra vita di relazione.

Così facendo, subiamo gli altri, gli eventi, le decisioni che vengono prese sul nostro conto. Inoltre, diventa sempre più difficile capire chi siamo e quali sono i vissuti che ci contraddistinguono dagli altri. Si viene, così, a perdere quell’essenza che ci rende unici, per omologarci ad un’altra persona la quale, in quel momento, diventa il nostro mezzo di misura di come “è giusto essere”.

Il giudizio

Tutto parte dalla paura del giudizio. Di per sé questa non è certo una malattia! Anzi, noi Homo Sapiens ci siamo evoluti proprio grazie a questa facoltà di “pensiero sociale”. Vivere in gruppo ci ha reso tutto più semplice: andare a cacciare grossi animali insieme ad altri simili ci dava l’opportunità di non venire uccisi al primo tentativo…un vantaggio evolutivo di non poca rilevanza!

D’altra parte ci ha obbligati a pensare oltre la nostra individualità: il pensiero si è trasformato dal “io vado a cacciare, speriamo di non trovarmi in serio pericolo!”, a “noi andiamo a cacciare, mi daranno una mano se dovessi essere in pericolo!”. Così ci siamo dovuti evolvere come esseri sociali, e imparare tutta una serie di aspetti sociali di “alterità”, cioè legati “all’altro”. Ad esempio, cosa pensa l’altro, come si comporta l’altro, quale sarà l’opinione dell’altro in merito a quanto dico o propongo, come reagirà l’altro quando gli dirò o farò una certa cosa.

In altre parole, la paura del giudizio non è “il” problema! Allora quando diventa un problema la paura di un giudizio?

L’altro come uno specchio

Quando quel giudizio diventa lo specchio di ciò che siamo! In pratica, quando a quella persona che esprime una valutazione su di noi sono dipendenti il senso di me, ciò che percepisco di essere. La mia identità di persona, il senso di autoefficacia, l’idea che ho di me stesso sono vincolati talmente tanto a quel giudizio, da riuscire a mettere in discussione OGNI VOLTA quello che sono. Queste oscillazioni portano ad un forte senso di confusione e ansia debilitante. Scopriremo di avere difficoltà a scegliere anche le cose più banali nella vita quotidiana,  a dover sempre chiedere una conferma esterna, ad avere difficoltà ad esporci con gli altri esprimendo e difendendo le nostre posizioni. L’altro, in definitiva, diventa “l’assoluto” con cui misuriamo la nostra vita e il nostro Sé.

Quindi?

È importante, invece, mantenere l’impegno e la responsabilità verso ciò che siamo INDIPENDENTEMENTE  dagli altri. Questo grado di autonomia è fondamentale all’individuo nello sviluppo del proprio Sé, in quanto è questa identità a definire la sicurezza dei nostri pensieri, comportamenti e decisioni. Nello sviluppo del bambino, una delle tappe più importanti, è la comparsa del “no”, un mezzo così potente da un punto di vista cognitivo da risultare uno spartiacque significativo per la crescita in un uomo autonomo. E sapete perché? Perché dire “no” ci afferma rispetto l’altro, ci distingue, ci porta a realizzare sempre di più che siamo “individuo a sé”, e non in stretta simbiosi con l’altro. Pertanto possiamo (e dobbiamo) scegliere, domandando a noi stessi quello che desideriamo, quello che sogniamo, quello che sentiamo, e prenderci la responsabilità di questo nostro piccolo ed immenso mondo interno. Ciò ci rende i legittimi sovrani del nostro regno emotivo.