Memoria e Diritto
Le neuroscienze forensi rappresentano un ambito di applicazione recente delle metodiche di indagine scientifica sul cervello in campo giuridico. Uno degli argomenti che più ha incentivato lo sviluppo di questo ambito di studi è senza dubbio il funzionamento (biologico, cognitivo, psicologico ed emotivo) della memoria. Questo interesse ha avuto un incremento esponenziale soprattutto in seguito all’applicazione forense delle tecniche di analisi del DNA. Questa ha portato negli anni a scagionare centinaia di individui condannati erroneamente sulla base della testimonianza di terzi. A tal proposito, negli Stati Uniti l’organizzazione denominata Innocence Project, il cui scopo dal 1992 è la revisione delle sentenze di condanna generate da errori giudiziari, ha fino ad oggi scagionato più di 330 persone ingiustamente condannate. Ciò è stato reso possibile grazie alle nuove prove emerse, specialmente attraverso l’impiego dell’analisi del DNA (www.innocenceproject.org). Questi detenuti erano stati condannati sulla base di testimonianze oculari, passando una media di 14 anni in carcere, alcuni dei quali addirittura nel braccio della morte in attesa di essere giustiziate.
Negli ultimi anni sono stati effettuati, in Italia e all’estero, importanti studi scientifici in tema di memoria infantile, raccolta e valutazione della testimonianza, suggestionabilità dei minori, valutazione clinica del danno come elemento probatorio (Gulotta, 2007).
Uno degli ambiti delle neuroscienze forensi privilegiati in cui vengono largamente applicate le conoscenze scientifiche sul funzionamento della memoria è quello inerente la testimonianza. Il ricordo di un individuo, vittima o involontario spettatore di un evento, diventa il “primo motore” per la restituzione dei fatti di cui ha fatto esperienza.
Cosa accade, come si chiedono oggi le Neuroscienze Forensi, nella memoria dell’offender che agisce una violenza ai danni di una terza persona (utilizzerò il termine anglosassone “offender”, in quanto generalmente adoperato in letteratura per riferirsi al colpevole di un’azione criminale e/o illecita)?
Spostare la prospettiva di indagine dalla vittima all’autore di reato apre una serie di significative questioni: una persona imputata di omicidio può sviluppare realmente un’amnesia parziale o totale per il proprio crimine? Come è possibile, e in che modo accade, che nel cervello di un individuo si determini un reset delle memorie relative al crimine commesso? Non è raro che gli imputati si appellino alla difficoltà di ricordare importanti parti del loro illecito, se non addirittura l’intero evento, in quanto ciò potrebbe essere interpretato durante il processo come espressione di un quadro morboso, anche transitorio, idoneo a configurare un vizio di mente. Ciò porterebbe ad escludere o scemare grandemente l’imputabilità dell’autore (Cima, Nijman, Merckelbach, Kremer, & Hollnack, 2004; van Oorsouw & Merckelbach, 2010).
Questo presunto errore di memoria viene tecnicamente conosciuto in Neuroscienze Forensi come crime-related amnesia (CRA) (Pujol & Kopelman, 2003).
In letteratura si distinguono tre diverse tipologie di amnesia solitamente correlate a crimine:
- amnesia organica
- amnesia dissociativa
- simulazione o malingering
Queste tipologie di deficit mnesico possono essere il prodotto di diverse cause, sia di ordine neurologico che psicopatologico, e non è infrequente, in determinati casi, riscontrarne la simultanea presenza in un individuo. I disturbi neurologici (ad es., demenze, ictus, patologie infettive, tumori cerebrali) possono essere causa di importanti deficit cognitivi, fra cui il disturbo di memoria spesso rappresenta uno dei sintomi più importanti. Anche i disturbi psicopatologici (ad es., i disturbi transitori dello stato di coscienza, i disturbi del pensiero e della percezione, i disturbi dell’affettività come la depressione o il Disturbo Post-Traumatico da Stress, disturbi della coscienza dell’Io come i disturbi dissociativi) sono in grado di determinare una riduzione della performance della memoria (Fornari, 2006). Queste cause possono tutte incidere più o meno sulla capacità di rendere testimonianza, sia che si tratti di una vittima che di una persona imputata di un crimine, nonché possono assurgere a potenti “alibi” per simulare una incapacità di ricordare un evento al fine di scongiurare o ridurre una condanna.
L’amnesia organica nel contesto criminale
La capacità di acquisire, immagazzinare e rievocare esperienze personali è la conseguenza del funzionamento di peculiari strutture cerebrali, il cui danno e/o alterazione funzionale può determinare diversi livelli di deficit di memoria. Esistono svariate cause di natura organica che possono interferire con il funzionamento della memoria. Fra queste ricordiamo le principali (Scott, 2012):
- Alcol e/o suo di sostanze
- Aneurisma
- Anossia
- Malattie cerebrali, disfunzioni o traumi
- Accidenti cerebrovascolari
- Delirium
- Demenza
- Terapia elettroconvulsiva
- Encefalite
- Ipoglicemia
- Sonnambulismo
- Forme epilettiche transitorie
- Sindorme Wernicke-Korsakoff
Tra le cause organiche più frequenti nei casi di CRA vi sono le intossicazioni da alcol e/o droghe: infatti, molti autori hanno trovato una forte correlazione fra abuso di sostanze e amnesia per comportamenti criminali (Eich, Weingartner, Stillman & Gillin, 1975; Fillmore, Vogel-Sprott & Gavrilescu, 1999; Goodwin, 1995; Goodwin, Crane & Guze, 1969; Kopelman, 1987; Swihart et al., 1999).
L’abuso di suddette sostanze correla fortemente con il comportamento deviante, e sono molte le evidenze del loro effetto peggiorativo sui processi cognitivi, specialmente a carico del funzionamento della memoria (White, 2003; Fillmore & Vogel-Sprott, 1999). Secondo alcuni risultati, l’alcol andrebbe ad interferire con i processi di encoding e, più specificatamente, con il consolidamento delle nuove informazioni (Ray & Bates, 2006; Söderlund, Parker, Schwartz, & Tulving, 2005; Verster, Van Duin, Volkerts, Schrueder, & Verbaten, 2003). Secondo questa ipotesi, sarebbe colpito il passaggio della traccia dalla memoria a breve termine (MBT) a quella a lungo termine (MLT) (White, 2003). Inoltre, l’alcol minerebbe il consolidamento in memoria delle informazioni a causa di un encoding più superficiale e in mancanza di un rehearsal (ripetizione) da parte del sistema Working Memory.
Un prolungato abuso di alcol, con tassi alcolemici alti, può portare ad un cosiddetto “black-out alcolico”. Questo fenomeno corrisponde alla difficoltà di ricordare dettagli critici di un fatto, o perfino l’intero evento occorso durante l’intossicazione, che non sarebbero recuperabili nemmeno attraverso tecniche di rievocazione tramite cues (suggerimenti). Vengono distinti due tipi di black-out alcolico:
- il “black-out completo”, detto anche en bloc, in cui l’autore del reato non riesce a ricordare alcun dettaglio del crimine;
- il “black-out frammentario”, che porta a un oblio parziale dell’evento, tale per cui alcuni ricordi possono essere richiamati successivamente fornendo specifici cues relativi a quanto accaduto nel periodo di ebbrezza (Scott, 2012).
I black-out frammentari sono più comuni rispetto a quelli en bloc (Van Oorsouw, Merckelbach, Ravelli, Nijman, & Mekking‐Pompen, 2004), mentre quest’ultimi sarebbero maggiormente legati a massicce dosi di alcol e/o ad una combinazione di alcol con altre sostanze, come marijuana o benzodiazepine (Hartzler & Fromme, 2003).