Amnesia psicogena e crimini violenti: memoria, emozioni, trauma
Amnesia e crimine violento: quale connubio possono avere da un punto di vista psicologico?
Una violenza può avere un impatto emotivo molto forte sia sulle vittime del reato sia sull’offender stesso. Pertanto, comprenderne gli effetti sulla memoria rappresenta un passo molto importante per la valutazione dei resoconti di coloro che vengono imputati di un delitto. Gli studi che hanno posto al vaglio il delicato intreccio fra emozioni e memoria concordano su un fatto: un trauma psicologico non ha un effetto unico e lineare sulla capacità di rievocare un evento e/o i suoi dettagli. Infatti, possono esservi una serie di diversi pattern, per cui i ricordi di un evento possono variare sia per quantità che per precisione (Christinason, Freij & Vogelsang, 2007). Curiosamente, mentre le ricerche si sono soprattutto indirizzate allo studio dei fenomeni dissociativi nelle vittime e/o i testimoni di un crimine (Cooper, Kennedy & Yuille, 2001; Mechanic, Resick & Griffin, 1998; Spiegel & Cardeña, 1991), sono stati pochi gli sforzi di vagliare la presenza di questi fenomeni negli autori di reato. Si pensi che, fino al 2003, erano stati pubblicati solo 10 studi empirici su campioni di detenuti (Dietrich, 2003) e solo una manciata di questi erano stati completati (Cooper, Cuttler, Dell & Yuille, 2006).
La letteratura scientifica in materia ha posto l’accento sulla natura traumatica di un crimine per spiegare la perdita di memoria in un contesto di reato violento, suggerendo che un offender, in uno stato di estrema attivazione emotiva (es., intensa rabbia), può, in seguito al proprio delitto, andare incontro ad una perdita di memoria, parziale o totale, minando fortemente il ricordo del crimine stesso (Hopwood & Snell, 1933).
Seguendo questa linea argomentativa, che vede il tentativo di evidenziare cause psicogene dietro ad l’amnesia, in letteratura si è fatto spesso riferimento a due concetti:
- l’amnesia dissociativa
- il fenomeno del red-out.
Per quanto riguarda l’amnesia dissociativa, alcuni studi recenti hanno proposto lo stato dissociativo cui andrebbe incontro l’offender durante il suo crimine come possibile causa della susseguente amnesia (Porter, Birt, Yuille, & Hervé, 2001; Tanay, 1969). Infatti, in accordo con Moskowitz (2004), molti colpevoli di reato violento soffrirebbero di uno disturbo dissociativo che, in ultima analisi, potrebbe essere la causa stessa del proprio comportamento.
Il DSM-5 (2014) indica come caratteristica principale dei Disturbi Dissociativi una scollamento delle funzioni della coscienza, della memoria, del controllo motorio, della identità o della percezione, che in un individuo solitamente sono funzionalmente integrate. Le alterazioni possono essere improvvise o graduali, transitorie o croniche, e solitamente avvengono in seguito ad una esperienza traumatica. L’amnesia dissociativa, anche definita “amnesia psicogena” o “amnesia funzionale”, fa parte di questa classi di disturbi, e viene descritta come l’incapacità di rievocare importanti informazioni autobiografiche, di natura traumatica e stressogena. Inoltre, questa lacuna risulterebbe troppo estesa per essere spiegata con una normale tendenza a dimenticare. Infine, l’amnesia dissociativa si distingue da quella conseguente a danno neurobiologico o a tossicità in quanto sarebbe potenzialmente reversibile.
Nel contesto di crimini violenti, l’amnesia dissociativa è solitamente correlata sia al tipo di comportamento violento, sia alla personalità dell’offender. Questo tipo di amnesia ha comunemente un esordio improvviso, ed è caratterizzato da un ricordo piuttosto vago e sfuocato degli eventi direttamente connessi al reato, e con una lacuna mnesica che può coprire l’intero periodo dell’aggressione (Bradford & Smith, 1979). L’amnesia dissociativa si sviluppa solitamente in contesti di violenza contraddistinti da emozioni estreme, in cui la vittima ha un rapporto di conoscenza intima con l’aggressore e in cui manca una vera e propria pianificazione dell’offesa (Kopelman, 1995; Loewenstein, 1991). Pertanto, questo tipo di amnesia avverrebbe tipicamente in contesti di violenza reattiva (Pollock, 1991). Secondo questa ipotesi, un aggressore, in seguito ad una provocazione psicologicamente significativa ed intensa (reale o immaginata), svilupperebbe uno stato dissociativo in cui la coscienza sarebbe solo parzialmente conservata. In questo caso, egli risulterebbe avvinto da una sorta di comportamento automatico quasi interamente guidato da motivazioni interne (es., rabbia). In altri termini, l’offender, egli stesso traumatizzato dal proprio stato emotivo, è come se diventasse un “automa” e, di conseguenza, commettesse il proprio crimine in uno stato incoscienza e/o incontrollabilità delle proprie azioni (Merckelbach & Christianson, 2007).
Cosa succede alla memoria dell’autore del reato in questi casi? L’amnesia sarebbe il risultato dell’interferenza esercitata dallo stato dissociativo sui processi di codifica e immagazzinamento delle informazioni traumatiche. Secondo quest’ottica, l’esperienza verrebbe compartimentalizzata (immagazzinata) durante una condizione speciale (un’estrema emozione). Una volta ripresa coscienza e la piena volitività, l’autore del reato avrà difficoltà a recuperare il ricordo del crimine, a causa della discrepanza tra il momento dell’immagazzinamento e quello del recupero delle informazioni (Spitzer, Barnow, Freyberger, et al, 2006; Holmes, Brown, Mansell et al, 2005; Allen, Console & Lewis, 1999). Tale compartimentalizzazione è caratterizzata dal mancato controllo delle funzioni cognitive e/o dei comportamenti che sono normalmente suscettibili di controllo intenzionale (incluso la capacità di portare alla consapevolezza cosciente le informazioni consolidate in memoria). Ciò determina un deficit di rievocazione che impedisce il richiamo volontario delle informazioni immagazzinate (Bourget & Whitehurst, 2007).
Un concetto non molto distante da quello di amnesia dissociativa, che spesso viene utilizzato in letteratura per descrivere un’amnesia come conseguenza di forti stati emotivi, è quello di red-out (Swihart, Yuille & Porter, 1999). Questo fenomeno si riferisce ad una condizione di rabbia particolarmente estrema, quasi sempre riscontrabile in contesti di crimine passionale e/o violenze domestiche, in cui la vittima è generalmente il partner dell’offender (Dutton, Fehr & McEwen’s, 1982).
Secondo gli studi scientifici, il red-out sarebbe caratterizzato da (Scott, 2012):
- una normale capacità di rievocare gli eventi precedenti e susseguenti l’aggressione;
- un insolito livello di rabbia associato al momento della violenza agita;
- una lacuna mnesica che copre il momento di massima violenza dell’aggressione;
- l’assenza di intossicazione da alcol e/o droghe o altre cause organiche all’origine dell’amnesia.
Oltre a queste ipotesi, sono state proposte altre teorie “psicologiche” per spiegare la comparsa di un’amnesia psicogena in contesti criminali. Tra queste, ha avuto per molti anni molto risalto la teoria della “rimozione”, secondo cui l’amnesia dissociativa avrebbe una funzione protettiva per il soggetto. La perdita di memoria, in pratica, consentirebbe di minimizzare le conseguenze negative di un trauma sia alterandone la codifica durante l’evento (Harvery & Bryant, 2002), sia attraverso la rimozione dello stesso dall’esperienza cosciente (Parkin, 1987; Parwatikar, Holcomb & Menninger, 1985). Ad esempio, Tanay (1969) riportò che gli autori di omicidio da lui studiati mostravano fenomeni dissociativi nel momento del loro crimine in associazione ad alcune caratteristiche personologiche, tra cui un Super-Io grandemente sviluppato, una rigidità generale e una personalità impoverita.
Questa teoria, tuttavia, ha trovato negli anni ben pochi riscontri scientifici (Holmes, 1990; Loftus, 1993, 1997; Loftus, Joslyn, & Polage, 1998), in quanto non sono emerse evidenze incontrovertibili a favore dell’ipotesi della rimozione come causa dell’amnesia dissociativa. Infatti, le maggiori critiche si sono basate sul fatto che questa teoria non tiene conto delle più recenti scoperte in campo neuroscientifico sui meccanismi della memoria (Gudjonsson, Kopelman & McKeith, 1999; Porter & Birt, 2001; Pyszora, 2006). Sfortunatamente, come fa notare Loftus (1997), nonostante l’assenza di solidi basi scientifiche, la teoria della rimozione viene accettata in molte corti del Nord America.