L'Aggressività e psicologia - Psicologo Prato Iglis Innocenti

L’Aggressività e psicologia

Tabella dei Contenuti

Non è possibile dare una definizione univoca del termine aggressività. Infatti, a seconda della prospettiva teorica da cui la si interpreti, l’aggressività può essere definita in molti modi:

  1. una caratteristica della personalità
  2. una spinta motivazionale
  3. una pulsione innata
  4. la realizzazione di determinate aspettative socio-culturali
  5. una risposta alla frustrazione

L’aggressività può essere una reazione diretta ad una frustrazione. Le modalità di risposta ovviamente cambiano rispetto all’età. In linea generale, il comportamento aggressivo:

  1. nel bambino piccolo, quando non ha ancora interiorizzato le regole sociali oppure all’interno di famiglie dove le risposte aggressive sono ampiamente tollerate;
  2. nell’adulto, quando la condotta aggressiva diventa il mezzo elettivo per la soluzione dei conflitti interpersonali e/o per affrontare frustrazioni anche di lieve entità

 

L’approccio psicanalitico

Secondo la teoria psicoanalitica l’aggressività può esprimersi anche attraverso fantasie, motti di spirito, lapsus o atti mancati. Freud sviluppò per primo una concezione dell’aggressività posta al servizio del principio del piacere. L’aggressività è vista quindi come una reazione dell’individuo alla frustrazione sperimentata durante la ricerca del piacere o dell’appagamento della libido.

Dopo il 1920 Freud abbandona questa concezione in favore della teoria dei due istinti. Accanto all’istinto di conservazione, egli pose l’istinto di morte. L’energia di tale istinto va continuamente allontanata dall’individuo e indirizzata verso l’esterno per impedire l’autodistruzione. Il bisogno di distruzione genera uno stato di tensione che può essere allentato dal comportamento dal comportamento aggressivo, ma che si accumula nuovamente dopo un periodo di riposo senza forme di aggressività.

L’approccio etologico

Anche in etologia si postula l’esistenza di un’energia istintuale di natura aggressiva. Secondo tale approccio l’aggressività accresce la probabilità di sopravvivenza e la conservazione della specie. S’ipotizza che in ciascun individuo vi sia un’energia latente che è specifica del comportamento e che è immagazzinata automaticamente. La probabilità che si verifichi un’azione aggressiva e la sua intensità si fondano sull’effettiva forza di quest’energia latente. Per ogni area di comportamento esistono dei patterns di azione prefissati, alimentati da forze interne e centrali, e stimolati da quest’energia propria del comportamento. Affinché il comportamento aggressivo possa avvenire si richiede uno stimolo scatenante esterno, dopodiché l’aggressività può accumularsi fino al punto di esplodere spontaneamente anche in assenza di chiari stimoli esterni.

L’aggressività come comportamento appreso

Tale prospettiva vede l’aggressività come una particolare forma di comportamento sociale, che è acquisita e mantenuta come qualsiasi altro comportamento sociale tramite il condizionamento operante. Se l’azione aggressiva ha successo il rinforzo positivo rafforzerà la tendenza a comportarsi in modo aggressivo.

L’influenza dei modelli sociali

Bandura affermò che il primo passo verso l’acquisizione di una nuova forma di comportamento aggressivo è il modellamento, grazie al quale gli individui acquisiscono comportamenti osservando tali comportamenti e le loro conseguenze nelle altre persone. Un modello è in grado di ridurre le inibizioni associate al comportamento aggressivo in determinate situazioni. Una serie di ricerche hanno dimostrato che vi è un’associazione positiva fra la visione di programmi televisivi di carattere violento e la tendenza ad agire in modo aggressivo. La violenza televisiva produce effetti a breve termine sulle tendenze aggressive degli spettatori. Essa aumenta le tendenze aggressive negli spettatori con maggiore probabilità se:

 

Il ruolo delle norme nell’aggressività intergruppi e nella violenza collettiva

Quando gli individui si trovano in un gruppo si comportano in modo più aggressivo di quando sono soli. L’anonimato, la diffusione della responsabilità, la presenza di un gruppo e una ridotta prospettiva temporale contribuiscono a creare uno stato di deindividuazione (su questo argomento si veda anche questo post: clicca qui). In netto contrasto con la teoria della deindividuazione troviamo la teoria della norma emergente. Secondo questa prospettiva le forme di comportamento estreme sono più probabili in un gruppo o in una folla perché all’interno del gruppo emergono norme nuove approvate dagli interessati e condivise nelle specifiche situazioni.