Con il termine pensiero la scienza psicologica indica una realtà molto vasta. Essa comprende processi mentali che non potrebbero essere tutti definiti come processi logici, razionali o ancor meno creativi, pur essendo anch’essi prodotti dalla attività psichica dell’uomo.
L’obiettivo della Psicologia, quindi, è l’analisi fenomenologica dei processi di pensiero. Ciò comporta la raccolta delle forme di pensiero in tutte le sue possibili varietà, lo studio delle strutture caratteristiche di queste forme, per giungere ad isolare i fattori che intervengono a determinare le varie forme di pensiero.
Prima necessità del pensare: categorizzare!
La realtà ambientale è costituita da una quantità estremamente ricca e mutevole di oggetti ed eventi percettivi. Se l’uomo utilizzasse tutta la sua capacità di registrare differenze e rispondesse a ciascun stimolo in modo specifico (come se fosse unico), sarebbe schiacciato dalla complessità dell’ambiente.
L’uomo supera questa difficoltà con un’attività di categorizzazione. Ciò significa che esemplifica l’universo dell’esperienza considerando equivalenti molte varianti della realtà ambientale. Inoltre, risponde ad esse non in quanto uniche, ma in quanto appartenenti a una stessa categoria. Dal livello di categorizzazione percettiva, quindi, si passa per gradi a quello di categorizzazione concettuale. Alla base della capacità di creare categorie, c’è la possibilità di riscontrare 4 ordini equivalente fra oggetti od eventi: formali o figurali, funzionali, affettive, relazionali.
La categorizzazione, però, non è un processo rigido. Uno stesso elemento può rientrare in categorie diverse a seconda della qualità considerata. Il risultato dell’attività di categorizzazione è, pertanto, la formazione di un concetto, una classe di eventi che hanno qualità comuni e distintive.
Nella formazione dei concetti intervengono due processi psichici. Il primo è l’astrazione, ovvero il processo per cui il comportamento è determinato non dalla situazione completa, ma da un particolare con esclusione di altri. Il secondo è la generalizzazione, ossia l’attività per cui il comportamento è costante di fronte ad un particolare che compare in situazioni diverse. Questi processi possono essere considerati le due facce della stessa medaglia: la categorizzazione necessita della presenza di entrambi, nonostante il tentativo di molti ricercatori di analizzarli singolarmente.
Studi e ricerche sul pensiero: Heidbreder & Wertheimer
Negli anni ’40, sulla base di numerose ricerche, Heidbreder proponeva di distinguere tre gruppi fondamentali di concetti: oggetti concreti, forme spaziali, numeri astratti. Questo era anche l’ordine con cui i soggetti giungevano a cogliere le categorie concettuali.
Wertheimer si proponeva di analizzare quali fossero le condizioni in cui si può giungere ad un atto di intelligenza creativa, quel tipo di pensiero che ci permette di risolvere problemi e che l’Autore ha definito produttivo.
Molto spesso nell’apprendimento, o nella ricerca di una soluzione, vengono seguiti metodi che prevedono atti puramente mnemonici, dettati dalla applicazione passiva di regole già apprese. Wertheimer vuol mostrare come si possa giungere a soluzioni e ad apprendimenti più generali e profondamente radicati quando si adotta una impostazione che osservi la situazione come una totalità significante e non come un insieme di parti o procedimenti parcellari.
Information Processing
Le teorie basate sulla “information processing” partono dal presupposto che il soggetto depositi nella memoria gli attributi di ogni stimolo, mano a mano che vengono presentati. Gli stimoli, ad esempio, vengono immagazzinati separatamente come “esemplari positivi” ed “esemplari negativi”. In questo caso, il punto critico del processo è la costruzione di una regola di decisione per collocare ogni nuovo stimolo nella categoria positiva o negativa.
All’inizio il soggetto non conosce né gli attributi rilevanti né il principio del concetto. Le istruzioni consistono nell’esplorare periodicamente gli esemplari memorizzati come positivi o negativi, per verificare se ci sono attributi comuni ai membri di uno di questi due insiemi ma non all’altro. Non appena queste caratteristiche comuni sono trovare, il problema è rapidamente risolto.
Nel caso di concetti non-congiuntivi (es. oggetti rossi o triangolari) non è possibile trovare caratteristiche comuni; il soggetto cerca uno specifico attributo che si presenta con maggiore frequenza tra gli esemplari positivi. Il soggetto, quindi, divide gli esemplari positivi e negativi in quelli che possiedono e quelli che non possiedono l’attributo specifico. Sulla base delle numerose ricerche condotte, sono state individuate le seguenti forme di pensiero: produttivo, quotidiano, prevenuto, nevrotico e psicotico.
Il pensiero produttivo
Il termine pensiero produttivo va inteso con il significato più ampio: dalla scoperta scientifica alla soluzione di piccoli problemi domestici. Ogni volta che ci troviamo in una situazione problematica che non presenti la possibilità di soluzione immediata, e che non consenta nemmeno l’impiego di schemi di comportamento già acquisiti in precedenza, mettiamo in opera un’attività di ragionamento che, qualora sia coronata da successo, crea una nuova conoscenza.
Il grande ricercatore Köhler usa il termine insight (intuizione), impiegato in due accezioni diverse. La prima come operazione mentale di ristrutturazione cognitiva, quando un soggetto apprende che per un determinato problema ci si deve comportare in un determinato modo. La seconda come consapevolezza di una relazione, ovvero cogliere immediatamente certe relazioni tra eventi, senza bisogno di un processo di analisi e di ragionamento.
Un altro ricercatore, Duncker ci sono due possibili strategie per risolvere un problema. La prima è procedere dal di sotto, ovvero analizzando gli elementi a disposizione e la loro utilità nella soluzione del problema. La seconda è procedere dal di sopra, per cui ricercando quegli elementi per mezzo di quali è possibile risolvere il problema. Per l’Autore, la seconda strategia è un metodo più intelligente, in quanto esige che sia stata fatta una analisi della situazione e che si sia già arrivati ad escludere una soluzione più immediata, con l’impiego diretto degli elementi a disposizione.
Il pensiero intuitivo
Nelle teorie del doppio processo il pensiero intuitivo è definito come preconscio, strettamente associato all’affetto, veloce e operante in modo automatico e olistico.
Il pensiero intuitivo permette di comprendere subito la realtà, senza la mediazione della logica o dell’analisi. Non impiega neanche il linguaggio verbale, bensì si fonda sulla base di indizi e sensazioni. Molte volte, di fatto, va contro ciò che potremmo chiamare “ragionevole”.
I molti studi su questo argomento hanno dimostrato che gli esseri viventi, soprattutto l’uomo, non sempre presentano comportamenti razionali. Ciò significa che spesso si appoggiano a delle “euristiche“. Queste vengono definite come procedimenti mentali intuitivi e veloci. Tali scorciatoie mentali permettono di costruire un’idea generica su un argomento senza effettuare troppi sforzi cognitivi. Sono strategie veloci utilizzate di frequente per giungere rapidamente a delle conclusioni.
Recentemente tali euristiche sono state chiamate “intuizioni” ed è stato riconosciuto il loro importante valore. Altri ricercatori inoltre hanno trovato sempre più prove a favore del fatto che, a seconda principalmente della complessità del compito, il pensiero intuitivo può essere utile e preciso tanto quanto il pensiero analitico. Inoltre, quando le attività non possono essere eseguite mediante analisi razionali, il pensiero intuitivo può essere lo stile di pensiero più vantaggioso.