Il Bias del Sopravvissuto: se la mente ignora chi è rimasto indietro - Psicologo Prato Iglis Innocenti

Il Bias del Sopravvissuto: se la mente ignora chi è rimasto indietro

Tabella dei Contenuti

Nella psicologia cognitiva, uno dei meccanismi (bias cognitivi) più insidiosi e al tempo stesso più diffusi è il bias del sopravvissuto (in inglese survivorship bias). È un errore sistematico di valutazione che porta a concentrare l’attenzione su ciò che è rimasto, su chi ce l’ha fatta, ignorando chi è uscito dal percorso o chi è scomparso lungo la strada. Questo inganno cognitivo influenza decisioni personali, strategie aziendali, percezioni del successo e persino interpretazioni storiche. Comprenderlo è essenziale per sviluppare un pensiero critico solido e una visione più realistica della realtà.

Che cos’è il bias del sopravvissuto?

Il bias del sopravvissuto si verifica quando si traggono conclusioni basandosi solo sugli esempi che sono “sopravvissuti” a un processo di selezione, trascurando chi non è arrivato al traguardo. Poiché la mente umana tende a semplificare l’informazione e a cercare modelli rassicuranti, finisce spesso per ignorare i casi invisibili o non documentati.

Un esempio classico proviene dalla Seconda Guerra Mondiale. Gli analisti esaminarono gli aerei rientrati alla base per capire dove rinforzarne la struttura del velivolo. Inizialmente si pensò di aggiungere protezioni nei punti dell’aeromobile che presentavano più fori di proiettile. Il matematico Abraham Wald suggerì invece l’opposto: rafforzare i punti in cui gli aerei non erano stati colpiti. Perché? Perché gli aerei rientrati erano i “sopravvissuti”: quelli colpiti altrove non tornavano affatto e, quindi, non venivano conteggiati. L’assenza di dati parlava più dei dati stessi.

Perché la nostra mente ci cade così facilmente?

Il bias del sopravvissuto è legato a diverse dinamiche psicologiche:

1. Ricerca di storie positive: gli esseri umani tendono a ricordare con maggiore facilità gli esempi vincenti. Queste storie sono più visibili, più affascinanti e più facilmente condivisibili.

2. Avversione alla complessità: considerare anche chi non ha “superato il processo” richiede analisi più complesse e spesso dati difficili da reperire. Il cervello, per economia cognitiva, preferisce le scorciatoie.

3. Sovrarappresentazione mediatica del successo: media, social network e marketing mostrano continuamente storie di persone che “ce l’hanno fatta”, alimentando l’illusione che tali successi siano più frequenti di quanto non siano.

4. Comfort psicologico: pensare che il successo dipenda solo dalle scelte o dalla forza di volontà rende il mondo più prevedibile. Considerare chi fallisce, invece, obbliga a fare i conti con l’incertezza e con i fattori fuori dal nostro controllo.

Esempi quotidiani del bias del sopravvissuto

1. Successo imprenditoriale: spesso si leggono storie di imprenditori partiti da zero e diventati milionari. Se ne conclude che “basta impegnarsi”. Ma pochi parlano delle migliaia di imprese fallite, degli investimenti persi, degli ostacoli invisibili. Concentrarsi solo sulle storie di successo distorce la percezione della realtà statistica.

2. Fitness e diete: molte strategie alimentari o programmi di allenamento vengono pubblicizzati mostrando solo i risultati migliori. Ma chi non ha ottenuto progressi non appare nelle foto prima/dopo, quindi sparisce dal quadro.

3. Mercati finanziari: chi investe spesso guarda ai trader diventati ricchi e trae conclusioni affrettate. Gli investitori che hanno bruciato capitali non emergono; eppure rappresentano una percentuale enorme, spesso decisiva per valutare il rischio reale.

4. Consigli motivazionali: frasi come “non mollare mai” ignorano il fatto che la persistenza non è sempre sinonimo di successo. Molti hanno perseverato senza ottenere il risultato desiderato, ma le loro storie non circolano.

5. Storie di longevità: si sentono racconti di persone che hanno vissuto a lungo pur facendo scelte apparentemente poco salutari (“Mio nonno ha fumato 90 anni ed è vissuto fino a 100!”). Ma non si vede la moltitudine che non ha avuto la stessa fortuna.

Le conseguenze psicologiche del bias del sopravvissuto

Sovrastima delle probabilità di successo

Questo bias porta a credere che alcuni traguardi siano molto più raggiungibili di quanto non siano realmente.

Colpevolizzazione del fallimento

Quando si pensa che tutti possano farcela, chi non ci riesce viene visto come poco capace o poco motivato. Questo genera stress, senso di colpa e auto-svalutazione.

Decisioni irrazionali

Ignorare dati cruciali (ad esempio, i rischi o i fallimenti) porta a scelte basate su informazioni incomplete.

Illusioni ottimistiche

Se si osservano solo i sopravvissuti, il mondo sembra più roseo e prevedibile di quanto non sia.

Come difendersi dal bias del sopravvissuto

1. Cercare il “non visibile”: chiedersi: Chi non sto considerando? Quali casi non appaiono?

2. Consultare dati completi: approfondire statistiche, tassi di fallimento, studi scientifici che includano l’intero campione.

3. Diffidare delle storie troppo semplici: se una narrazione sembra troppo lineare o troppo perfetta, probabilmente è incompleta.

4. Adottare un pensiero controfattuale: immaginare alternative: Cosa è successo a chi ha fatto la stessa cosa e non ha avuto successo?

5. Ricordare che il successo è un’eccezione: la visibilità non coincide con la frequenza. Ciò che vediamo rappresenta spesso una minoranza selezionata.

Il bias del sopravvissuto è un errore percettivo potente e radicato, capace di modellare in modo distorto le nostre aspettative, decisioni e credenze. Ci porta a sovrastimare il successo, a sottovalutare i rischi e a ignorare un elemento fondamentale della realtà: ciò che non vediamo. Essere consapevoli di questo bias non solo permette di prendere decisioni più lucide, ma aiuta anche a sviluppare una maggiore empatia verso chi non “sopravvive” ai vari processi di selezione della vita. Vedere non basta: occorre imparare a guardare anche ciò che non appare.