Negli ultimi anni un nutrito corpo di ricerche scientifiche ha messo in evidenza il legame fra emozioni e memoria. Ovvero, l’impatto delle emozioni sul sistema cognitivo dell’uomo (Borod, 1992; Damasio, 1994; LeDoux, 1996; Rolls, 1999). Il contesto emotivo in cui un evento accade modula massicciamente la capacità di codifica, immagazzinamento e di recupero di un ricordo. Pertanto si è reso fondamentale comprendere i meccanismi cognitivi e neurobiologici sottostanti sia da un punto di vista neuroscientifico che criminologico.
Oggi sappiamo che eventi ad alto impatto emotivo vengono ricordati meglio rispetto eventi neutri (Dolan, 2002; LaBar and Cabeza, 2006; McGaugh, 2006). Questo è dovuto all’attivazione di importanti network cerebrali particolarmente correlati al funzionamento del sistema emotivo dell’uomo, in particolare l’amigdala, l’ippocampo e la corteccia prefrontale (Adolphs et al., 1997; Cahill et al., 1996; Blumenfeld et al., 2011).
Emozioni e Memoria: tra psicologia e criminologia
Da un punto di vista psicologico e criminologico, sono molto interessanti gli studi sul trauma e i suoi effetti sulla memoria. Esiste, infatti, un acceso dibattito che vede contrapposte due interpretazioni diverse sugli effetti di un trauma sui processi mnesici nell’uomo.
Alcuni autori sostengono che un evento ad alto impatto emotivo (per es., un omicidio) può condizionare negativamente la memoria dell’esperienza. Mentre altri suggeriscono che questi eventi facilitino il recupero dei ricordi. Tale controversia ha dato vita a due diversi approcci teorici: la Traumatic Memory Argument (TMA) e la Trauma Superiority Argument (TSA).
Secondo la TMA, solitamente il trauma ha un impatto negativo sulla memoria, tale per cui i ricordi risulteranno frammentati, meno coerenti e dettagliati rispetto ad altre esperienze. In questi casi, il ricordo conterrebbe immagini sensoriali ed emotive in assenza di una narrazione verbale coerente (Porter, Woodworth & Doucette, 2007). Seguendo questa linea interpretativa, la difficoltà di rievocare i dettagli del proprio crimine è dovuta all’alto livello di stress e alle estreme emozioni che l’offender vive durante il compimento del proprio crimine.
Secondo la TSA, invece, il trauma migliorerebbe la memoria di un individuo, tale per cui i ricordi traumatici verrebbero ricordati più dettagliatamente, in modo vivido e coerente (Bernsten, 2001; Porter & Birt, 2001; Shobe & Kihlstrom, 1997).
Emozioni e memoria: l’amaro sussurro distorto dei ricordi
Il rapimento
Terr (1979) effettuò uno studio sulle memorie di 25 bambini tra i 5 e i 14 anni che il 15 luglio del 1976 furono rapiti da un gruppo di tre persone. I malviventi riuscirono ad impossessarsi dello scuolabus su cui viaggiavano i piccoli. I rapitori, dopo 11 ore passate sulla strada, fecero spostare i bambini e l’autista su due camion. All’interno dei due mezzi erano stati disposti e ammassati cibi di prima necessità, qualche materasso e una latrina per fare i bisogni. Poi i rapitori seppellirono i due camion all’interno di una cava, a Livermore in California. Dopo 27 ore, il tetto del camion collassò e alcuni di questi riuscirono a fuggire e dare l’allarme.
Terr dimostrò che i bambini avevano conservato i ricordi dell’accaduto in maniera piuttosto dettagliata dopo 13 mesi dall’accaduto. In uno studio di follow-up, l’autrice trovò che i ricordi dell’evento traumatico nei sopravvissuti si erano conservati a distanza di 4 anni (Terr, 1979; Porter, Woodworth & Doucette, 2007).
Il campo di concentramento
Gli psicologi Wagenaar e Groeneweg (1990) esaminarono i ricordi dei detenuti di Camp Erika, una prigione olandese utilizzata come campo di concentramento durante la Seconda Guerra Mondiale. In particolare, furono valutati i resoconti dei detenuti che avevano subito le sevizie da parte di Martinus De Rijke, un prigioniero che i tedeschi avevano promosso a kapo. Alla fine del conflitto bellico, i sopravvissuti vennero interrogati dalla polizia olandese, e quindici di questi vennero nuovamente interrogati tra il 1984 e il 1988, quando il caso De Rijke fu riaperto, consentendone la cattura nel 1987.
Gli autori dello studio dimostrarono l’accuratezza dei ricordi a distanza di quasi 40 anni dalla prigionia. In particolare, molti dei resoconti concordavano sui metodi di tortura utilizzati, le atrocità subite dai prigionieri ebrei, il numero di registrazione al campo, le routine quotidiane, le abitazioni e le guardie principali (Wagenaar e Groeneweg, 1990). Esistono, inoltre, molti studi che confermerebbero l’elevata accuratezza dei ricordi in veterani di guerra.
Violenza e comportamento omicidario
Yuille e Cutshall (1986) esaminarono le memorie di 13 testimoni di omicidio e tentato omicidio dopo 4 e/o 5 mesi dagli eventi. Comparando queste testimonianze con i rapporti iniziali redatti dalla polizia, gli intervistati mostrarono un ricordo molto accurato e dettagliato di quanto da loro osservato. In particolare, i soggetti furono capaci di rievocare i dettagli dei comportamenti, delle persone e degli oggetti con un livello di coerenza pari all’81,56% (Peace, Shudra, Forrester, Kasper, Harder & Porter, 2014).
Evans, Ehlers, Mezey, and Clark (2007a) valutarono la capacità di rievocazione in un campione di 105 giovani offender condannati per reati violenti. Riscontrarono che il 46% dei soggetti riportavano ricordi intrusivi indesiderati dei fatti, mentre il 36% tendevano ad una significativa ruminazione ossessiva su vari aspetti del reato.
Queste evidenze suggeriscono che gli autori di un reato violento, caratterizzato da estreme emozioni e livelli molto alti di stress, dovrebbero comunque preservare le memorie e/o frammenti di ricordi dei dettagli connessi al proprio crimine.
Per saperne di più, consiglio il mio libro “Neuroscienze forensi della memoria. Crime Related Amnesia” (2016), Aracne Editore.