Non sarà un post di consigli sul coronavirus!
Ce ne sono già molti sparsi per tutto il web. Inoltre, già molti miei colleghi hanno ben centrato il punto di questa situazione. Pertanto: vi suggerisco di leggere le pagine web del sito dell’Ordine degli Psicologia della Toscana.
Questa volta voglio parlare di me!
Sì, esatto. Sarebbe più facile darvi un elenco sterminato di suggerimenti e cose da fare quando si è in quarantena.
Io invece parlerò di me. Racconterò come mi sono sentito, cosa ho fatto, cosa mi ha aiutato. Ritengo prezioso parlare da uomo, oltre che da psicologo. Siamo tutti sulla stessa barca, e io mi sento un rematore come tutti.
UNO PSICOLOGO “SUL CAMPO”.
L’ultimo post che avevo scritto risaliva al 24 febbraio (link del post). Scrivevo: “Coronavirus a Prato ancora non si è visto”
E invece….
Il coronavirus è arrivato anche in Toscana e a Prato, stravolgendo molte cose.
La prima sensazione è stata di aver ricevuto uno schiaffo che, tutto sommato, mi attendevo. E non so se sia migliore o peggiore di uno schiaffo che non ti attendi affatto. Infatti, la Cina la sentivo lontana, ma le notizie arrivavano e sapevamo di che cosa si trattasse. Però, un po’ per incoscienza, un po’ per quell’atavico senso del “tanto non tocca a me!”, non mi preoccupavo.
Ne abbiamo cominciato a parlare in famiglia, ma non c’era preoccupazione. Fino a quando le cose non sono precipitate.
IL CORONAVIRUS ALLA PORTA!
La prima preoccupazione è stata ovviamente per la mia famiglia. Un forte senso di paura e impotenza sono state le prime sensazioni che mi hanno accompagnato fin da subito. Cosa fare e cosa attenderci erano i due pensieri più martellanti.
Tutto ciò mi ha portato a sviluppare una sorta di ossessione per le informazioni e le notizie: leggere, informarmi, capire erano le “pillole” del giorno. Ho cominciato ad usare tutto il mio armamentario razionale per avere in mano più strumenti possibile. Ma le informazioni, almeno all’inizio, erano confuse. Si parlava di una “banale influenza”, oppure di una “catastrofe annunciata”. C’erano, insomma, i due estremi: i “negazionisti” (o minimizzatori), e i “catastrofisti” (un po’ alla “ricordati che devi morire!“).
Inoltre ho sentito emergere la pressione del mio lavoro. Essendo psicoterapeuta, e avendo persone in terapia che potevano avere delle ricadute a livello psicologico, ero preoccupato di gestire anche questa situazione con tutte le incognite del caso.
Sono arrivato al punto in cui tutto quello che mi arrivava sul coronavirus (sia le notizie, che le situazioni psicologiche dei miei pazienti o dei miei cari) mi rimbombava in testa come la grancassa di una batteria.
Così mi sono dato una specie di programma “salva psiche”!
“FITNESS” CONTRO L’ANSIA DA CORONAVIRUS
Pertanto la “mia ricetta” è stata (ed è tuttora) questa.
Innanzitutto non leggere a tutte le ore i quotidiani su internet e, soprattutto, scegliere le fonti più attendibili per capire ciò che stava succedendo realmente.
Ho scelto di leggere solo il sito dell’Istituto Superiore di Sanità e quello del governo come fonti realmente attendibili su dati e informazioni relative al Coronaviurs. Inoltre, ho deciso di leggere “solo” tre quotidiani on-line e confrontare le notizie riportate (il Corriere, La Repubblica e il Fatto Quotidiano).
In casa ci siamo organizzati in modo da stare con le bimbe il più possibile. Questo mi ha dato un senso di “soluzione”, e mi ha calmato molto. Mi sentivo “efficace” nei confronti delle persone più preziose della mia vita.
Dall’altra, essendo un operatore sanitario e avendo un ruolo molto importante in situazioni di emergenza come questo, ho deciso di non chiudere lo studio e rendermi disponibile a proseguire i percorsi di psicoterapia già iniziati. Molti miei pazienti, concordemente con me, hanno deciso di effettuare le sedute via Skype. Altri, seguendo scrupolosamente le regole dettate dal decreto, hanno preferito continuare a venire in studio.
In entrambi i casi (a casa e in studio), ciò che mi ha aiutato sono state due cose: il senso di “autoefficacia” e la “normalizzazione” della situazione.
Il senso di autoefficacia è stato prezioso. “Sapere” cosa fare a casa per dare tutto il necessario alle mie figlie mi ha fatto sentire di non subire la situazione di emergenza passivamente. Mi dava un senso del controllo, di gestione. Sapevo cosa fare.
Anche con i miei pazienti è stata la stessa cosa. Poter star loro vicino anche in questo momento, aiutare loro ad usare i propri mezzi e le proprie risorse per fronteggiare il Covid-19 mi ha fatto sentire di aiuto. E questo mi ha dato uno slancio ancora più forte. Inoltre, continuare a lavorare ha “normalizzato” la situazione, era come fare la stessa cosa che ho sempre fatto.
E ORA?
Da qui in avanti non sarà semplice. Il senso di frustrazione e di costrizione saranno sempre al varco ad attenderci.
Come detto precedentemente, ci sono molti siti in cui si parla come meglio adattarsi e affrontare questa situazione. Nel mio piccolo, suggerisco di adattarsi al cambiamento tentando di conservare più cose della vita che facevamo prima. Ad esempio, una cosa che riscontro tra i miei pazienti è una rottura molto forte con le routine precedenti. Questo può creare una sorta di shock per il nostro sistema psicologico.
È vero che non si può uscire, è vero anche che non si possono frequentare certi posti o alcune persone (es., la palestra o amici). Però, se prima 3 volte la settimana alle 19 avevo palestra e la sera vedevo gli amici al pub, questo può essere fatto lo stesso, con qualche variazione sul tema. Magari per 3 volte la settimana alle 19 mi organizzo di fare ginnastica da casa e la sera in chat di gruppo vedo gli amici con una bella birra davanti.
Insomma, l’adattamento a questa situazione rimane la nostra arma più potente. D’altronde, un certo Darwin già aveva scoperto che:”Non è la specie più forte o la più intelligente a sopravvivere, ma quella che si adatta meglio al cambiamento”.